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Crampi e rimpianti: Sinner si ritira a Shangai

L'azzurro si arrende ai problemi fisici e perde l'occasione di confermarsi campione

Jannik Sinner

Doveva essere un altro passo verso la vetta, l’occasione per difendere un titolo e avvicinarsi al sogno del numero uno. Invece, a Shanghai, Jannik Sinner ha conosciuto ancora una volta la fragilità del corpo, quella linea sottile che separa la grandezza dall’impotenza.

Arrivato in Cina da campione in carica e reduce dal trionfo di Pechino, l’altoatesino sembrava pronto a spiccare il volo definitivo. L’assenza di Carlos Alcaraz apriva uno spiraglio luminoso, e il campo, almeno all’inizio, sembrava dargli ragione. Il primo set contro l’olandese Tallon Griekspoor si era chiuso al tie-break, 7-6(3), con la solita miscela di lucidità e potenza. Nella seconda partita Sinner era arrivato a due punti dal successo, con sei palle break sprecate che hanno il sapore amaro delle occasioni perdute. Poi, qualcosa si è incrinato: il set è sfuggito 7-5, e il copione del match ha cominciato a cambiare direzione.

Nel terzo, il corpo ha tradito la mente. I crampi alla gamba destra, improvvisi e spietati, hanno stroncato il campione, piegato dal dolore, aggrappato alla speranza di resistere. Ha provato a rimanere in campo, come un guerriero che rifiuta la resa. Ma a nulla sono valsi il coraggio e l’intervento del fisioterapista: sul 3-2 per Griekspoor, Sinner si è arreso, sorretto all’uscita, senza la forza di sollevare il borsone, lo sguardo perso tra frustrazione e impotenza.

È il settimo ritiro in carriera, una ferita che si aggiunge alle altre: Vienna 2020 contro Rublev, Miami 2022 contro Cerundolo, Parigi e Sofia nello stesso anno, Halle 2023 con Bublik, Cincinnati, ancora contro Alcaraz, quando sussurrò “non posso muovermi” sotto un 5-0 impietoso. Episodi che raccontano non solo un fisico messo a dura prova, ma anche un’anima che non conosce la resa.

Già un anno fa aveva rinunciato a Parigi-Bercy, allora per un virus intestinale. A Melbourne, agli Australian Open poi vinti, era rimasto in bilico contro Rune, salvato da venti minuti di sospensione. Ai Giochi di Parigi non c’era per una tonsillite; a Wimbledon, contro Medvedev, appariva pallido, stanco, quasi svuotato.

C’è qualcosa di profondamente umano in tutto questo. Jannik Sinner continua a correre verso la perfezione, ma il suo corpo, ogni tanto, gli ricorda che la grandezza passa anche dalla fragilità. A Shanghai, non ha perso soltanto una partita: ha dovuto arrendersi alla propria umanità

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